Edoardo Bennato

This is going to be a sort of break from the usual Live on 35mm flow.

Edoardo Bennato is a very famous Italian songwriter. Together with (and behind) Pino Daniele he tops the Neapolitan tradition. He played recently a one off date at the Scala in London.
The gig gave rise to a discussion between me and my friend about his gig, not from a music perspective, but from the attitude some Italian artists have when they play London.

I apologize to the non Italian readers. Don’t despair, you are plenty of music to read about and more will be coming soon. Be patient, I will be back.

Sfruttare l’occasione di un concerto di Edoardo a Londra per parlare un po’ di cosa voglia dire essere un cantante pop in Italia e cosa sia invece fare musica in Inghilterra , può diventare un interessante riflessione: seguiteci.

Edoardo Bennato ha suonato il 2 Marzo a Scala. Il concerto fa parte della rassegna “Italian Attack” promossa da Virus Concerti che porta nella capitale inglese una selezione di cantanti italiani di primo piano tra cui Capossela, De Gregori e Marlene Kuntz. L’iniziativa é sicuramente meritevole e sarebbe interessante fare una chiacchierata con i responsabili per capire meglio le economie e la logica del tutto, cosa che prima o poi ci ripromettiamo di fare, sempre che, dopo questo, ci rivolgano ancora la parola. Ma torniamo a bomba.

Per chi non la conoscesse, Scala é una piccola sala da concerti attaccata alla stazione della metropolitana di King’s Cross. Potrebbe ricordare come dimensioni e atmosfera il vecchio Rototom di Spilimbergo: un palco basso e dismesso, un parterre poco più grande del palco, un grande drappo nero un po’ liso a coprire il muro dietro la postazione del mixerista. Lo scarto con gli ambienti che Bennato é abituato a frequentare in Italia é evidente ma, non bastasse la modestia della location a rivelare l’ importanza veramente relativa dell’evento rispetto alla vita musicale londinese, questa la si evince da un dettaglio: il nome del Nostro riportato sui volantini pubblicitari del locale come “Eduardo Benatto”.

Se il vostro orgoglio patrio si sente ferito, respirate forte e provate a pensare a quanto strano sarebbe se, chiamata, Londra rispondesse all’appello e di colpo impazzisse per l’Italian Rock. La scena live qui é tanto vivace quanto competitiva, soprattutto é anglocentrica: é difficilissimo per chi non ha l’inglese come prima lingua arrivare a buoni livelli. A memoria, Manu Chao é l’unico rocker riuscito ad infrangere la barriera di indifferenza che gli inglesi innalzano davanti a chiunque salga su un palco e non si esprima nella lingua della Regina Elisabetta e di Posh Spice. Tra gli Italiani, solo Paolo Conte e i propugnatori della lirica-lite alla Bocelli hanno un seguito costante. Si faticava a trovare un inglese perfino al concerto di Capossela, questo nonostante i dischi dell’immenso Vinicio abbiano sempre ottime recensioni sulla stampa nazionale, specialistica e non.

Che il concerto sarebbe stato invece un occasione per la comunitá degli Italiani a Londra per riunirsi e crogiolarsi per una sera nella nostalgia della patria lontana era cosa largamente prevedibile e chiarissima a tutti, promoter compresi. Questi hanno infatti pubblicizzato l’evento principalmente attraverso i canali della comunità degli expats, il sito web ItaliansOfLondon e l’Italian Bookshop di Cecil Court in primis. Facile da capire e prevedere, e chiaro a tutti si diceva, ma evidentemente non a Bennato.

Il buon Edo, ciccando clamorosamente, ha rinunciato a fare quello che sa fare meglio (cioé salire su un palco e cantare) e ha cercato invece di cogliere l’opportunitá della data Londinese per trasformare il concerto in una vetrina promozionale per una possibile produzione inglese del musical su Peter Pan che attualmente gira con successo nei teatri d’Italia.

Ora, se la questione fosse stata solo che l’uomo evidentemente non aveva capito quale sarebbe stato il suo ruolo per quella sera, questo ci puó anche stare e piú che compassione avremmo provato un filo di simpatia per lui. Quando però il tuo stesso show ti si rivolge contro in maniera spettacolare principalmente a causa del dilettantismo e dell’approssimazione della produzione, il beneficio del dubbio non lo si concede più. Il contrasto con la precisione cronometrica dei cambi di palco tra le band in una delle serate organizzate dal New Musical Express in cui vengono proposte band emergenti a cui avevamo assistito un paio di settimane prima non avrebbe potuto essere più grande: qua il dilettantismo non ha spazio se non tra i dilettanti. Bennato é un professionista.

Forse nel tentativo di proporre un show “multimediale”, ma più probabilmente solo per far arrivare con più forza il messaggio ad un ipotetico, fantomatico e sicuramente fantasmatico produttore di musical presente in sala, ogni canzone e ognuno dei lunghi monologhi con cui Bennato inframezza le sue canzoni erano supportati da proiezioni di spezzoni della versione Disney del cartone animato di Peter Pan e da presentazioni powerpoint sicuramente concepite e realizzate appositamente per l’occasione.

Bella idea, peccato che le traduzioni dei testi delle canzoni nelle slides risultassero approssimative e infarcite di errori di battitura, quando non proprio imbarazzanti (il motore dell’automobile è “engine”, non “motor”).
Non era stato nemmeno considerato il piccolo dettaglio che il proiettore aveva un obiettivo piú largo dello schermo e questo rendeva impossibile la lettura completa delle slides di cui sopra. Il laptop dell’operatore, poi, “crashando” sistematicamente ad ogni canzone, proiettava alle spalle di Bennato, invece dei testi, messaggi del tipo: “No signal”, “system initializing”, “wait… loading”, “LCD projector”.

Il fatto che l’Edo ci stesse dando dentro come un assatanato o meglio, come un disperato, aumentava in maniera esponenziale il valore comico del tutto. A chi fosse interessato, posso spedire una foto del rocker di Forcella che canta a squarciagola con sullo sfondo una schermata di desktop azurra completa di logo Windows XP.

La sala si é riempita solo per metá: ci saranno state in tutto 200 persone e gli Inglesi, come ampiamente previsto, li si poteva contare sulle dita di una mano. Di impresari, neanche l’ombra.

E il concerto? Lo spettacolo si apre con un quartetto d’archi che suona un pezzo di Vivaldi, e questa sezione della recensione si apre con una riflessione sull’Accademia.

La musica “bassa” in Italia ha un bisogno disperato dell’approvazione delle accademie: si deve sentire benvenuta nella casa dei parenti ricchi della musica “alta” e accettata come parte di quella famiglia. Facendo così si autoconfina però al ruolo del cugino di campagna: discorso lunghissimo e complesso, ma la nostra storia culturale questa é.

Quando riusciremo a capire che il rock e il pop sono forme d’arte perfettamente valide nella loro individualità e che quelle che in Italia, ma non in UK, vengono additate come debolezze (lo scarso tasso tecnico e la volatilità delle proposte, cioé il fatto che “non restano”) sono in realtà i suoi più grossi punti di forza (l’immediatezza espressiva e il fatto che ti permettono di tastare il polso dell’oggi), forse riusciremo a diventare grandi. Fino ad allora, saremo bamboccioni attaccati alle gonne di Mamma Accademia.

Ovviamente Bennato, che fa rock ma é diplomato al conservatorio, non la pensa così. Ha spiegato – testuali parole – che noi italiani “abbiamo gusti raffinati e a queste cose ormai non ci facciamo più caso”, ma che se ci fosse stato un inglese in platea e avesse visto il quartetto d’archi “sai come sarebbe rimasto colpito”.
[Pensa te, ’sta novitá assoluta degli archi nel rock! Alla facciazza de Forever Changes – NdR].

Ma il problema non è che Edoardo, per quanto portatore di un idea di rock alquanto peculiare, non sappia stare su un palco, non sappia cantare o non sappia suonare: queste sono tutte cose che sa fare molto bene. Il problema alla fine non è nemmeno il quartetto d’archi: se sai come funziona il pop in Italia (vedi sopra), magari non lo capisci ma una ragione te la fai. Il problema è quello che succede tra canzone e canzone.

Bennato sottopone il pubblico a lunghi monologhi deliranti che vorrebbero essere illuminanti ma elencano una serie di banalitá dozzinali (la nascita del rock’n’roll), ovvietá pseudoantropologiche (l’evoluzione della razza umana, la storia di come gli uomini hanno cambiato colore), tristissimi luoghi comuni (i politici che devi conoscere per poter sfondare). Le stilettate, ripetute una, due, tre, dieci, cento volte alla TV e ai media che, a sentir lui, lo ostracizzano. Il “Gomblotto”, insomma.

Dopo poche canzoni era chiarissimo che quello a cui stavamo assistendo era lo psicodramma di un uomo i cui odi, rancori e desideri di rivalsa – immensi – non riuscivano ad essere nascosti da quella maschera di simpatia scugnizza che si mette davanti. Lo show, lo spettacolo, a quel punto non erano più le canzoni. Era Bennato stesso che, strabordando, ha oscurato il suo stesso repertorio.
Repertorio che, piaccia o non piaccia, una discreta importanza nella storia della canzone italiana la ha.

Non bastasse questo, abbiamo assistito alla piú grande esibizione di incoerenza e disrispetto per il pubblico che ci sia capitata di vedere dal vivo in una vita di concerti.
Ad un’ora dall’inizio del concerto, Bennato fa accomodare il quartetto d’archi fuori dal palco e, chitarra acustica piú kazoo al collo e tamburino al piede, parte in una rivisitazione dei suoi classici. Bello, proprio bello, pensiamo, e infatti il pubblico risponde: si scalda, canta, balla e batte le mani.
Dieci minuti dopo ritorna il quartetto d’archi e Edo si lancia in un monologo piú sconclusionato del solito in cui parla di un ragazzo, Renzo Rosso da Vicenza, che ha fondato la Diesel ed é riuscito a realizzare il sogno impossibile di andare a vendere i jeans agli Americani. Se c’è riuscito Renzo Rosso, perchè lui, Bennato, non puó vendere un musical agli Inglesi? Non fa una grinza.

Per dare maggior enfasi al concetto, Edo imbraccia la chitarra e si lancia in una versione di L’isola che non c’è. In Inglese.

“Second star to the right, that is the way…”

Suona male pure a voi? Pensate ad un pubblico di emigranti italiani.
È stato zittito una prima volta dai fischi di quello stesso pubblico che due minuti prima lo osannava.
Ha fermato la canzone, ha mugugnato qualcosa e poi è ripartito una seconda volta, sempre in inglese, solo per essere sommerso ancora dal pubblico, che lo ha interrotto cantando all’unisono e a squarciagola la stessa canzone, ma in italiano.
La soap opera è finita solo quando ha chiesto di poter cantare i primi due versi in inglese, per poi concludere L’Isola Che Non C’é in italiano. Il pubblico capita la disperazione dell’ uomo ha ascoltato in silenzio e applaudito, stavolta di compassione.

Qualcuno si potrà chiedere dove sia la pietra dello scandalo.
Vista la serata, vista l’audience, visto il contesto e visto il preciso momento del concerto in cui questo è successo (dopo i quattro/cinque brani suoi piú conosciuti), cantare in inglese quello che è il suo brano piú famoso, quello che sai che il pubblico, quel pubblico, aspetta è stato un anticlimax di proporzioni terrificanti.

In secondo luogo, la reazione del pubblico era ampiamente prevedibile. E allora se Bennato, pur avendo capito che tipo di audience aveva davanti ha deciso, proprio in quel momento, di fare quello che ha fatto, ha dimostrato come minimo una mancanza di rispetto per il suo pubblico, quando non proprio arroganza.

Di piú, se ce ne fosse stato bisogno, un gesto del genere ti fa riconsiderare retrospettivamente quanto hai sentito fino ad allora. Non puoi andare avanti per un’ora a pontificare sullo stato che ti opprime, sui burattinai che manovrano ogni tuo passo, sui potenti che ti segano le gambe e poi, all’apice del concerto, diventare improvvisamente un seguace di Mammona.

Ecco, la cosa che veramente non ci è andata giú è la contraddizione di fondo – brutale – tra quello che predica questo performer e lo show stesso, show che voleva essere solo una bella oliata agli ingranaggi dell’industria. Peccato che quello sia un motore che hai appena dichiarato di voler far grippare.

E allora, Edo, verrebbe da dire, niente di male se vuoi trovare un impresario per il tuo musical, ma almeno non riempirmi prima di panzane sui Gatti e le Volpi. Se vuoi fare il predicatore, devi avere integritá. E se decidi di proporti come bandiera dell’onestá in musica, stai attento perchè oltre che tornaconti hai anche delle responsabilitá ben precise, in primis quella di essere coerente

E anche se, invece di cantare in quello che credi e credere in quello che canti, stai facendo uno show e interpretando un personaggio (e la cosa ci sta benissimo), la sospensione dell’incredulitá bisogna saperla portare fino in fondo altrimenti casca il palco.

Edoardo Bennato ha portato a Londra, Scala, una perfetta sintesi dell’italianitá vittimista, mammona e trasformista con cui l’Italiano é stereotipato in Inghilterra. E poi ci lamentiamo se ci pigliano per i fondelli.
Giudizio finale: Da far accapponare la pelle. Oppure bellissimo, se piace il genere gonzo.

Di Luca Bazzoli e Valerio Berdini


~ by Valerio on March 25, 2009.

7 Responses to “Edoardo Bennato”

  1. Beautiful photos and I guess overalled concert. I’d like to have more and in future other news from and of the author.

  2. Avrei intitolato il pezzo Eduardo Benatto.
    Il contenuto ispirato a un polemismo senza limitismo ce lo avevate anticipato, ciononostante: bravi. Uno vuole la matriciana e quello porta fish and chips … ma dico io.

    PS Preferisco il genere MILF. Come direbbe il nostro, W la mamma.

  3. Bel pezzo e ottima analisi!! (e foto bellissime come al solito!).

  4. fiuuuu’, approvati pure da una Napoletana vera, mi sento meglio!
    Just back from Salt Lake…ciao

  5. Mah. Cari Valerio e Luca, “much ado about nothing”.
    Quello che non capisco è il senso di questa specie di tourneè.
    Edoardo ormai ha dato alla musica italiana quel che poteva dare.
    Tanto, in my humble opinion.
    Ma sono anni che si trascina con pezzi che vanno bene solo per gli spot delle compagnie telefoniche.
    Chi lo ha amato “ai bei tempi” (fino alla ciofecona gigantesca di OK Italia, per dire, che ormai è preistorica) evita accuratamente di seguire le produzioni attuali.
    Mi meraviglio che ci fossero 200 persone, in quest’ottica.
    Esclusi voi due (che tanto c’avevate da chiaccherà, da fare un salto fuori, da scattare un pò di foto…) oserei dire che agli altri 198 è giusto che sia stata inflitta una simile punizione.

  6. This is a typical example of southern Italy man best known as TERRONE. Pls. see also Pino Daniele, Teresa De Sio, 99 Posse, Mario Merola.

  7. Mi sarebbe piaciuto leggere qualche commento in piu’ sulla musica: che brani ha suonato, come erano arrangiati, ecc. Invece scrivete di etica, di filosofia e di Windows XP.
    Forse, dal punto di vista musicale, per gli “altri 198” non e’ stato un gran supplizio…

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